Internet in Cina

L’esplosione di Internet negli anni ‘90 venne definita la campana a morto per i governi che si affidavano al controllo delle informazioni per mantenersi al potere. Molti ritenevano che, a differenza dei giornali e della televisione, la mole di contenuti e l’accesso decentralizzato ai dati avrebbe reso Internet impossibile da censurare.

Si sbagliavano.

Il Partito Comunista Cinese non solo è riuscito a tenere i cinesi all’oscuro di contenuti considerati “sensibili”, ma è riuscito a trasformare Internet—a quel tempo la forma di comunicazione di massa più libera e democratica che si stesse sviluppando—in una trappola per catturare coloro che si occupano di tali “contenuti sensibili”, come i diritti umani. Pornografia e gossip, invece, sono facilmente accessibili.

In altre parole, l’Internet cinese è stato trasformato in una rete di controllo da parte della polizia. Venne infatti chiamato Policenet, dal nome di un prodotto che l’azienda americana CISCO ha sviluppato e venduto all’Ufficio di Pubblica Sicurezza cinese. Lo scopo? Catturare i praticanti del Falun Gong e i dissidenti politici. Policenet fa parte del progetto multimiliardario chiamato Golden Shield, ideato per creare una rete digitale di riconoscimento dei documenti d’identità, e attuare una stretta sorveglianza di Internet.

Con la tecnologia Policenet, la polizia cinese può fermare qualsiasi cittadino per strada, scansionare la sua carta d’identità, ottenere un elenco delle sue attività su Internet degli ultimi 60 giorni—comprese le comunicazioni via e-mail —e portarlo via, se vogliono.

CISCO e altre aziende occidentali come Nortel, Intel, Yahoo e Google hanno consentito al Partito Comunista di controllare e monitorare il cyberspazio. Le comunicazioni via telefono fisso e cellulare non sono mai state sicure sotto il Partito Comunista, ma ora i cittadini cinesi possono essere arrestati per aver visitato un sito web “sbagliato” o per aver espresso la propria opinione in un messaggio di posta elettronica “privato”.

Nel 2005, Yahoo! ha fornito informazioni alle forze di sicurezza cinese: vennero poi usate dal Partito Comunista per condannare il giornalista Shi Tao a 10 anni di carcere. Shi aveva diffuso online un messaggio interno del PCC relativo al 15° anniversario del massacro di Piazza Tiananmen.

Centinaia, se non migliaia di aderenti del Falun Gong sono stati arrestati con questo sistema: per aver inviato informazioni all’estero che denunciavano la persecuzione che stavano subendo o per averne parlato via email (esempio). La stragrande maggioranza dei resoconti sulla persecuzione del Falun Gong in Cina pubblicati su questo sito web sono stati resi possibili da coloro che hanno consapevolmente corso tali rischi.

Liberare l’Internet cinese

La politica di controllo di Internet da parte del Partito è talmente pubblica da impiegare persino personaggi dei cartoni animati vestiti da poliziotti: Jing Jing e Cha Cha (screenshot). Quando qualcuno visita il portale della città di Shenzhen, ecco che Jing Jing e Cha Cha appaiono, rispondendo a domande su “un uso corretto di internet”. Lo scopo di Jingjing e Chacha, secondo un funzionario dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Shenzhen responsabile del progetto, è quello di intimidire e incoraggiare l’autoregolamentazione da parte degli utenti.

La polizia di Internet, tuttavia, non si affida solo sull’autoregolamentazione: i contenuti sensibili vengono bloccati. Dei dieci siti web maggiormente bloccati in Cina, quattro riportano in modo esteso la persecuzione del Falun Gong. Altri includono Voice of America e Radio Free Asia.

Secondo uno studio condotto dal Berkman Klein Center for Internet and Society di Harvard, le ricerche che contengono parole che fanno riferimento al Falun Gong sono tra le più bloccate dai filtri cinesi.

Il Partito non si ferma qui. Il vuoto creato dal blocco delle informazioni esterne sul Falun Gong, viene riempito con la propaganda del regime. L’agenzia di stampa statale Xinhua attacca il gruppo direttamente su Sina.com e su altri portali di informazione cinesi. Grazie alla complicità di Google, le pagine web che diffamano il Falun Gong compaiono per prime nelle ricerche effettuate in Cina. (https://www.rfa.org/english/china/china_google-20060126.html).

Cosa dire degli utenti cinesi che vogliono accedere regolarmente ai siti web del Falun Gong, di Amnesty International e di Freedom House, o anche del Washington Post e della CNN?

Hanno sempre più possibilità di aggirare il Grande Firewall. Alcuni ingegneri stranieri sono riusciti a fornire agli utenti della Cina continentale programmi che consentono loro di accedere in modo impercettibile a qualsiasi sito web.

Bill Xia, di Dynaweb, Inc. ha ricevuto molti elogi per il suo software “Dongtai”. Il programma permette agli utenti cinesi di usare delle proxy per aggirare la censura su Internet e nascondere il proprio indirizzo IP. (http://www.infosecnews.org/hypermail/0602/11185.html).

I praticanti del Falun Gong hanno istituito un Consorzio Globale per la Libertà di Internet al fine di collegare una rete di tecnologie che potrebbero essere utilizzate per aggirare i controlli cinesi su Internet e sulle altre telecomunicazioni.

Sebbene i programmi di Xia e di altri si siano rivelati efficaci per eludere i controlli su Internet,  la battaglia è in salita: devono aggiornare costantemente i loro programmi e affrontare la sorveglianza del regime su Internet, in continua evoluzione e ben finanziata.

Guerra informatica al di fuori della Cina

Nell’estate del 2007, gli attacchi ai computer del Pentagono e di diversi ministeri britannici sono stati attribuiti all’Esercito Popolare di Liberazione della Repubblica popolare cinese. Anche nei sistemi informatici del governo tedesco sono stati trovati numerosi spyware cinesi.

Da anni il regime comunista cinese utilizza strategie simili per cercare di bloccare le comunicazioni del Falun Gong e rubare informazioni. Il PCC ha ripetutamente cercato di hackerare e chiudere i siti web del Falun Gong, che operano all’estero. Il PCC ha usato virus informatici per attacare i praticanti del Falun Gong in tutto il mondo (link a: https://web.stanford.edu/class/msande91si/www-spr04/readings/week5/cia_warns_of_attack.html). 

Un esempio è Jeremy Howard del sito australiano Fastmail.fm. Jeremy ha notato che qualcuno stava usando una tecnologia molto sofisticata e persistente per cercare di penetrare simultaneamente in sei account di posta elettronica. Tutti appartenenti  a praticanti del Falun Gong (http://www.abc.net.au/lateline/content/2005/s1397482.htm).

Per maggiori informazioni:

  • Geoffrey Fowler, The Wall Street Journal “I censori cinesi di Internet affrontano gli ‘hacktivisti’ negli Stati Uniti.” (link).
  • Ethan Gutmann, The Weekly Standard “Chi ha perso Internet in Cina?” (link).
  • “Aiding the Policenet,” un’intervista con Ethan Gutmann (link)
  • Studio del 2005 del Berkman Center for Internet and Society di Harvard sulla Cina (link)
  • Rapporto dell’Iniziativa OpenNet sulla Cina (link)
  • La legge sulla libertà online globale (link)
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