Un’estate silenziosa

Uno studente americano del "MIT of China" scopre il Falun Gong e vive l'estate buia del 1999, quando il Falun è stato bandito

Uno studente americano che soggiorna in un campus dell’università di Tsinghua, considerata il “MIT della Cina”, viene a conoscenza del Falun Gong. Giunge in Cina proprio durante quell’estate buia del 1999, periodo in cui la pratica spirituale iniziò ad essere proibita nel Paese.

Rimasi impassibile di fronte all’unico avviso di colore bianco affisso ad altezza occhi sul tronco del pino, l’unica traccia di mani umane in questo parco di Pechino un po’ trasandato.

Sebbene la mia scarsa conoscenza della lingua cinese rendesse il suo messaggio difficile da decifrare, l’ aria di ufficialità assieme alla pomposa presenza, appiccicato com’era sull’albero, facevano pensare a qualcosa di inquietante.

Quella mattina mancava ciò che normalmente rendeva quel grezzo appezzamento di pini e terra così vivo: la sua gente. E naturalmente tutta la vita che portavano con sé: i loro suoni, i loro sorrisi, la loro amicizia.

Solitamente il parco era animato da due o tre dozzine di persone, ma quella mattina erano assenti. Era preoccupante. Non se ne vedeva nemmeno una. Né si sentiva. Sebbene fosse il 1999, ricordo ancora quanto fosse opprimente quel silenzio. Se gli uccelli cinguettavano nelle vicinanze o i pedali delle biciclette cigolavano, come doveva essere, io non li sentivo.

Dove erano finiti tutti? Cosa aveva alterato in modo così drammatico e improvviso l’ambiente del parco?

Dire che il silenzio era anormale sarebbe un eufemismo. Solitamente al mattino il parco si trasformava in una sorta di palestra culturale. Qui i praticanti del Falun Gong si riunivano per esercizi meditativi in gruppo e movimenti simili al tai-chi.

Ogni giorno più di 70 milio

Era il luglio del 1999 e il parco era uno dei tanti nel campus dell’Università Tsinghua, dove allora vivevo e studiavo. Studenti, docenti e personale si riunivano ogni giorno in vari parchi come questo, per praticare il Falun Gong. Sia che fossero giovani o anziani, professori o custodi. Il loro incontrarsi rappresentava una straordinaria espressione di comunità.

Conoscevo da tempo la versione cinese del movimento di cultura fisica e la sua capacità di riunire e motivare segmenti di persone altrimenti scollegati. Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta infatti, la pratica indigena del qigong, di cui il Falun Gong era una varietà, aveva entusiasmato le masse cinesi. Milioni di cittadini cinesi – e secondo alcune stime centinaia di milioni- si recavano nei parchi per prendere aria fresca e praticare il qigong.

Per me, studente di cultura cinese e di religione comparata, era un fenomeno affascinante.

Sembrava che ogni praticante del qigong avesse vissuto su di sé una qualche storia di guarigione, avesse attinto ad energie invisibili o ad altre cose altrimenti miracolose.

In America, molte persone ne hanno avuto un assaggio nel 1993, quando la serie Healing and the Mind di Bill Moyers ha presentato un “maestro” di qigong e i suoi studenti, in visita al loro sito di pratica nel Purple Bamboo Park di Pechino. Ma pochi potevano percepire le dimensioni, la portata e il fervore di ciò che stava accadendo.

Ho imparato a conoscere il movimento cinese del qigong grazie alle ricerche effettuate durante l’ultimo anno di università e al mio apprendistato, durante un corso di antropologia medica, con uno di questi maestri cinesi di Filadelfia.

Ma negli Stati Uniti nessuno aveva sentito parlare del Falun Gong, nonostante il fatto che nel 1999 fosse cresciuto fino a diventare la più grande e la più significativa di tutte le forme di qigong. In soli sette anni aveva raggiunto circa 70 milioni di devoti e si poteva vedere in quasi tutti i parchi della Cina. Era un nome familiare, come qui lo sono il pilates o lo yoga.

Eppure, nel gennaio 1999, quando ho pianificato il mio viaggio, non c’era nulla di scritto sul Falun Gong nella letteratura accademica, né un solo articolo sulla stampa occidentale. Costituiva per così dire un punto cieco di tipo culturale.

Dopo l’arrivo a Pechino e l’insediamento nel mio campus, la presenza del Falun Gong è diventata rapidamente inconfondibile. Perfino mentre mi recavo in bicicletta alle mie lezioni di lingua, incrociavo da uno a tre gruppi del Falun Gong, che si esercitavano con le loro posizioni e formazioni tipiche.

Scienziati e intellettuali accolgono il Falun Gong

Il Falun Gong ha attecchito nel campus, sede dell’élite scientifica cinese, proprio come in tutta la Cina. Nell’estate del 1999, infatti, oltre 300 membri della comunità di Tsinghua avevano fatto del Falun Gong una parte della loro vita. Tra loro c’erano alcuni dei più importanti fisici, chimici e studenti laureati della Cina.

È stato subito evidente che il Falun Gong non poteva essere liquidato rapidamente come “superstizione popolare” o ciarlataneria, come avevano affermato alcuni critici del qigong. Il Qigong stesso era una sorta di controversia: sebbene fosse fortemente antico e tradizionale, stava sorgendo in una Cina contemporanea ossessionata dalla modernizzazione e spesso a disagio con il suo passato.

Era situato in quello spazio al limite tra passato e presente, misticismo e razionalità. Era destinato ad arrivare alle persone e infondere entusiasmo. Il punto di approdo dei dibattiti riguardo ad esso dipendeva dalla propria visione del futuro della Cina.

Sebbene gran parte del patrimonio culturale cinese era stato distrutto sotto Mao e le sue campagne “rivoluzionarie”, molti resti sopravvivevano, sebbene in modo spezzettato e disorganico. E molti di essi, come il qigong, stavano riemergendo.

Il Falun Gong mi affascinava per il fatto che era particolarmente impregnato del patrimonio culturale cinese e lo abbracciava, senza le stesse ansie che altri qigong sembravano manifestare. Eppure molti lo trovavano ancora “scientifico” e conciliabile con le nozioni di modernità. Da qui la sua popolarità anche all’università di Tsinghua,considerata il “MIT della Cina”.

Il sole prima delle tenebre

Arrivavo alla Tsinghua sia nel momento migliore che in quello peggiore.

Il lato positivo è che si trattava di un periodo di relativa facilità e apertura. È stato facile conoscere i praticanti locali del Falun Gong e presto mi sono unito a loro per fare gli esercizi al parco. La sera mi invitavano a unirmi a loro per leggere e discutere gli insegnamenti della pratica. È così che ho conosciuto un ex alunno dell’università, Zhao Ming. Ci riunivamo nel suo piccolo appartamento spoglio, appena fuori dal cancello nord.

In quei giorni le persone potevano condividere intimamente le loro esperienze con il Falun Gong. Seduti insieme al parco e intenti a toglierci i rametti e gli aghi dalle gambe, c’era sempre l’occasione per chiacchierare dopo la meditazione.

Ho conosciuto due persone piuttosto da vicino: uno studente laureato, Huang Kui, e un altro giovane membro della facoltà, Jun. Si avvertiva una certa generosità di spirito e sincerità che permeava il loro essere, dai sorrisi che sfoggiavano così prontamente ai gesti di aiuto rivolti a me, uno straniero impacciato in una città nuova e inquietante.

Non solo apprezzai gli effetti fisici della pratica, che erano sorprendentemente tangibili, ma anche la visione del mondo che conteneva e di cui parlava, per quanto all’inizio alcune parti di essa mi fossero estranee. Di tanto in tanto, mi è capitato persino di entrare in quel mondo.

Se è veramente tuo, non lo perderai”.

C’è stata una volta, per esempio, in cui ero al parco e prima di praticare ho chiuso la mia bicicletta, cosa abituale in una città dove i furti abbondano. Quando uno dei membri del gruppo del Falun Gong se n’è accorto, ha fatto una risatina e mi ha detto che non dovevo farlo qui.

Ho riso e gli ho assicurato che non ero preoccupato che lui o altri praticanti del Falun Gong la prendessero. Ho detto che mi stavo proteggendo dagli altri là fuori. La mia risposta è stata accolta con una risata calorosa sia da lui che da un paio di altre persone, che ora erano venute a conoscenza della nostra conversazione.

“No, voglio dire che non devi preoccuparti che qualcuno la prenda”, disse. “Se è davvero tua, non la perderai; se non dovrebbe essere tua, non potrai tenerla, per quanto tu possa provarci”.

Non riuscivo a capire bene la logica, ma sapevo che c’era una metafisica in atto e che presumibilmente derivava dagli scritti del Falun Gong, che evidentemente non avevo ancora imparato.

Solo una settimana dopo, tuttavia, il consiglio del mio amico assunse un nuovo elemento di credibilità quando la bicicletta di un compagno di classe, ben chiusa a chiave, fu rubata, mentre la mia, che in qualche modo avevo dimenticato di chiudere a chiave, passò inosservata nonostante fosse adiacente.

Era come se in quel momento si fosse intravisto il funzionamento di un ordine cosmico invisibile. Mi sono sentito umiliato di fronte alla possibilità di sapere quanto poco conoscessi della vita, della causalità e del destino. I miei amici del Falun Gong avevano scoperto qualcosa? Avevano accesso a qualche ordine superiore di esistenza?

Più tempo passavo con questa comunità, più riuscivo a capire la popolarità di questa pratica. O aveva un’inspiegabile capacità di attrarre le persone più gentili, o qualche mezzo per produrle.

Con il tempo sono arrivato a concludere che si trattava della seconda ipotesi.

Silenzio improvviso

Non mi rendevo conto di quanto fossi fortunato, sia a livello personale che come studente di storia culturale, ad aver avuto modo di condividere le esperienze insieme a loro. (In seguito avrei saputo che a quel tempo ero l’unico occidentale in Cina impegnato con il Falun Gong, sia come partecipante che come osservatore).

Né mi ero reso conto di quanto potesse avere effetti negativi il mio tempismo.

Ero arrivato a Pechino alla vigilia di quella che sarebbe diventata probabilmente la persecuzione più sistematica di un gruppo di cinesi nei 50 anni di governo del Partito.

Questo era il significato dell’avviso affisso nel parco in quella mattina afosa.

Ero testimone dell’inizio di una campagna orchestrata dallo Stato che avrebbe reso orgoglioso Mao, un programma come quello che la Cina non aveva mai visto nei dieci anni successivi al Massacro di Tiananmen.

“Il Falun Gong è stato bandito dalla Repubblica Popolare Cinese”, dichiarava l’avviso in dizione ufficiale.

“È illegale riunirsi per praticare o propagare gli insegnamenti del Falun Gong, così come è illegale diffondere qualsiasi letteratura o materiale che faccia lo stesso”. Continuai a leggere, ma le parole non riuscirono ad essere registrate.

Era il 22 luglio del 1999 e il Falun Gong era ufficialmente illegale.

Mi sentivo sotto shock nel realizzare che lo stile di vita, se non l’identità stessa, dei miei amici e conoscenti era appena stato messo fuori legge. E questo era avvenuto, letteralmente, da un giorno all’altro.

Cercai invano i miei più stretti collaboratori all’Università Tsinghua. Huang Kui e Jun non si trovavano da nessuna parte. Non c’erano nemmeno Zhao Ming e gli altri.

Non riuscivo a trovarli. Né riuscivo a scoprire granché di ciò che stava accadendo.

Blitz dei media controllati dallo Stato e roghi di libri

Certo, circolavano molte notizie sulla messa al bando del Falun Gong. Ma erano poco più che diatribe poco velate, stranamente uguali in ogni pubblicazione controllata dallo Stato. Ogni pretesa di obiettività è stata gettata al vento in favore del mandato ufficiale di screditare il Falun Gong. La rappresentazione degli aderenti come irrazionali, cultisti e pericolosi avrebbe poi aperto la strada alla violenza ufficialmente sanzionata.

Dopo un mese, il solo Quotidiano del Popolo (dal nome poco appropriato) aveva pubblicato 347 articoli che criticavano il Falun Gong. L’etere, da parte sua, era saturo di inamidati conduttori di telegiornali che leggevano copioni taglienti ripetendo la stessa melodia. Per strada, tutti parlavano del divieto.

L’unica voce che non era presente era quella degli stessi praticanti del Falun Gong.

Questa era l’idea, così com’era stata pianificata dall’apparato del Partito-Stato. Mettere a tacere il gruppo era il primo passo per schiacciarlo. E solo con il Falun Gong in silenzio il Partito poteva ridefinirlo.

Ben presto sono seguiti roghi pubblici di libri accuratamente coreografati.

Il Falun Gong conquista i cuori

Tsinghua ricevette un colpo particolarmente duro, poiché forniva un esempio contrario alla linea del Partito: qui c’erano i più importanti pensatori e scienziati cinesi che praticavano il Falun Gong, ritenuto “arretrato”. Quanto il Partito abbia preso sul serio questa sfida è stato evidente quando i militari sono stati inviati al campus, brandendo mitragliatrici.

Tuttavia, non si trattava di un bagno di sangue come quello di Tiananmen. Il Falun Gong era più una minaccia morale che politica. Rappresentava una minaccia, un potenziale con cui il Partito non poteva convivere: che le persone potessero trovare qualcosa di significativo nella loro vita che non fosse mediato dal Partito o governato dalla sua economia della scarsità. Rappresentava un luogo alternativo di realizzazione, una nuova economia spirituale, se vogliamo. E come tale, non si conciliava esattamente con la visione di una modernità guidata dal Partito che alcuni funzionari volevano, o di cui avevano bisogno.

Senza volerlo, con il suo percorso metafisico verso la salute e la felicità, questo gruppo eterogeneo di meditatori aveva fatto ciò che nessuna quantità di “studio politico” e di “educazione patriottica” avrebbe potuto fare per il Partito. Aveva conquistato il cuore del popolo.

In questo caso, la messa al bando del Falun Gong è stata attuata con un’intensità sorprendente.

Sorveglianza, arresti, esecuzioni

Alcuni praticanti sono stati rapidamente arrestati e rimossi dal sito, in particolare quelli che potevano essere “influenti” agli occhi del pubblico. Alcuni sono stati costretti ai margini, come nel caso di molti studenti della Tsinghua; decine di persone sono state cacciate da scuola. Altri hanno dovuto darsi alla clandestinità per evitare l’arresto.

Io stesso sono diventato oggetto di sorveglianza. Regolarmente vedevo la polizia in borghese che mi seguiva o addirittura mi filmava. Un individuo ha rivelato che il mio telefono era sotto controllo e che le mie e-mail venivano lette. Una fonte ben piazzata ha detto che erano iniziate le esecuzioni.

Quello che doveva essere un soggiorno di un anno si è quindi concluso dopo due mesi. A malincuore rinunciai alla borsa di studio che avevo vinto e tornai a casa. Non era più sicuro stare a Pechino.

Quell’estate, prima di partire, non ho più ritrovato i miei amici più stretti del Falun Gong. Solo due anni dopo avrei saputo cosa ne era stato di loro. Due, Kui e Jun, erano stati arrestati, come raccontano i giornali, e condannati a cinque e sette anni di prigione. Jun aveva commesso il “crimine” di stampare un opuscolo informativo sul Falun Gong da Internet. Kui aveva cercato di fondare un giornale indipendente. Quel giornale era in realtà Epoch Times.

Durante la detenzione entrambi gli amici sono stati sottoposti a torture, da come ho saputo in seguito. Di uno non si hanno più notizie fino ad oggi. L’altro è recentemente fuggito dalla Cina e sta cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita negli Stati Uniti.

Zhao Ming, invece, è stato mandato in un campo di lavoro alla periferia di Pechino, dove è stato brutalmente torturato per mesi con manganelli elettrici.

Domande sul futuro

Quell’estate del ’99, sebbene mi fossi recato a Pechino principalmente per una formazione linguistica e per interesse storico-sociale nei confronti della cultura fisica cinese, tornai con una visione molto diversa e piuttosto complicata della Cina di oggi.

La mia esperienza con il Falun Gong, e la notevole oppressione che ha incontrato, mi ha portato a ripensare molte cose sulla Cina e sul suo stato d’essere.

Cosa si può pensare di un’entità governativa che esercita il potere in modo così arbitrario, fino al punto di tentare di legiferare sulla vita interiore, privata e spirituale dei suoi cittadini? E su quali basi una nazione può affrontare il futuro se è così insicura, o indecisa, sul proprio passato?

Credo anche che continuiamo a vedere le conseguenze di tutto questo, anche se in modi meno evidenti. Prima di lasciare la Cina, mi sono spesso chiesto cosa ne sarebbe stato di questa nazione quando i suoi leader arrestavano e torturavano i cittadini che abbracciavano valori come l’onestà e la gentilezza. Cosa succede quando si criminalizza l’essere una brava persona?

La litania dei fiaschi di prodotti contaminati (come la melamina nel latte in polvere per bambini) che si sono verificati in Cina ha fornito una triste risposta. Dubito che i governanti cinesi abbiano fatto questo collegamento. Probabilmente sono troppo impegnati a mettere a tacere i loro critici.

Anche se non torno a Tsinghua da tempo, mi dicono che il parco è rimasto in gran parte immutato. E silenzioso.

Matthew Kutolowski è uno studente di dottorato alla Columbia University e studia religione e cultura cinese.

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