The Diplomat: Dopo 25 anni, il Falun Gong è ancora nel mirino della repressione di Pechino

Il Partito Comunista Cinese, portando avanti la persecuzione contro il gruppo spirituale, sta implicitamente ammettendo che il suo tentativo di eliminare il Falun Gong è categoricamente fallito.

Nel luglio 1999, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha lanciato una delle campagne politiche più estese dalla fine della Rivoluzione culturale: uno sforzo globale per eliminare il Falun Gong, una disciplina spirituale praticata da decine di milioni di cittadini cinesi. La crociata aveva tutte le caratteristiche delle solite campagne politiche: roghi di libri in pubblico; propaganda demonizzante 24 ore su 24, 7 giorni su 7; arresti di massa una malvagia ossessione nel costringere i praticanti a rinunciare alla loro fede, utilizzando anche la tortura.

All’epoca, pochi avrebbero immaginato che il Falun Gong avrebbe potuto sopravvivere, e che questa violenta persecuzione sarebbe continuata per 25 anni. Eppure, questa è la realtà di oggi. 

Negli ultimi anni il regime cinese ha raddoppiato gli sforzi per monitorare, detenere, imprigionare e “trasformare” i praticanti del Falun Gong in Cina, e per sorvegliare, molestare, mettere a tacere e malignare i credenti in tutto il mondo. Tutto ciò è continuato anche dopo la morte, nel novembre 2022, di Jiang Zemin, l’ex leader del PCC che aveva lanciato la spietata campagna iniziale.

La propaganda del regime contro il Falun Gong cerca tipicamente di sminuire l’importanza della stessa, presentando i praticanti come una parte marginale della società, piuttosto che un obiettivo principale dell’apparato di sicurezza. Questo punto di vista è spesso ripreso da ricercatori o giornalisti, i quali affermano che il Falun Gong è stato “schiacciato” anni fa, che si tratta di una storia non più degna di attenzione globale, irrilevante per comprendere la Cina di oggi. 

Le fonti governative e del partito della Repubblica Popolare Cinese raccontano una storia molto diversa: internamente la campagna per sradicare il Falun Gong è vista come una componente centrale degli sforzi del PCC per controllare la popolazione, mantenere il potere politico e conservare la supremazia ideologica, sia all’interno della Cina che nella diaspora cinese.

Il Falun Dafa Information Center ha identificato decine di conversazioni riservate che sono state trapelate, oltre a siti web dei governi locali disponibili al pubblico in lingua cinese. Il tutto ci dice che il Falun Gong rimane una priorità assoluta per l’apparato di sicurezza, per mantenere la “sicurezza politica nazionale”, un eufemismo per indicare la presa del potere da parte del PCC. Tra il 2019 e il 2023, le direttive, i rapporti di lavoro e i piani di sviluppo emessi dai governi locali di almeno 12 province e città in tutta la Cina collegano la repressione dei residenti che praticano il Falun Gong alla salvaguardia della “sicurezza nazionale”, della “sicurezza politica”, della “sicurezza politica nazionale” e/o della “sicurezza dello Stato”.

Ad esempio, nell’agosto 2020, l’allora ministro della Pubblica sicurezza Zhao Kezhi ha tenuto un discorso ai leader del parlamento cinese, evidenziando il lavoro svolto dal 2016 al 2019.  Zhao ha osservato che in quel periodo l’apparato di pubblica sicurezza si era sforzato di:

Zhao ha sottolineato le misure per reprimere i gruppi religiosi vietati come il Falun Gong, prima di menzionare altri problemi di sicurezza reali, come la lotta alla corruzione e l’antiterrorismo. Questa menzione esplicita del Falun Gong, e la sua priorità tra le minacce percepite dal regime assieme ad altre comunità etniche o religiose, è apparsa altre volte, comprese tre conferenze stampa tenute dal Ministero della Pubblica Sicurezza a partire dal 2021.

Petizione nazionale contro il Falun Gong; ricompense in denaro

Un altro segno che rivela l’importanza attribuita dal PCC alla persecuzione del Falun Gong, è che il regime lancia periodicamente nuove iniziative.

All’inizio del 2023, il regime ha avviato una nuova campagna nazionale per diffondere disinformazione e demonizzare la pratica, incoraggiando, se non costringendo, i cittadini cinesi a denunciare chi pratica il Falun Gong. Al centro di questo sforzo vi è una petizione online con personaggi animati, ospitata sull’onnipresente applicazione WeChat, di proprietà del gigante tecnologico cinese Tencent. La petizione contro il Falun Gong è caratterizzata da personaggi dei cartoni animati e da badge WeChat che si rivolgono a utenti di tutte le età. Viene attivata tramite un codice QR, che indirizza gli utenti alla pagina del profilo della China Anti-Cult Association, un’organizzazione del PCC che è stata a lungo in prima linea negli sforzi del regime per demonizzare e perseguitare il Falun Gong.

Le istituzioni di tutta la società cinese — compresi i comitati di quartiere del PCC, la polizia locale e le istituzioni scolastiche — sono state mobilitate per diffondere la petizione. La nostra ricerca ha individuato riferimenti alla campagna sui siti web ufficiali del governo cinese o di altri enti in 30 province, municipalità e regioni autonome, comprese le dichiarazioni di decine di milioni di firme raccolte. 

La raccolta di firme è solo un esempio di come il regime stia investendo ingenti risorse per perseguitare i praticanti del Falun Gong. Un’altra iniziativa che emerge dai siti web ufficiali è l’offerta di ricompense in denaro ai cittadini che denunciano i praticanti del Falun Gong o la loro diffusione di informazioni sulle violazioni dei diritti agli agenti di sicurezza. Un regolamento del 2022 della regione autonoma di Ningxia offre incentivi che vanno da 200 yuan (circa 25 euro) a 50.000 yuan (circa 6300 euro). Riferimenti a simili programmi sono apparsi in altre parti della Cina, uno di questi nella provincia di Jilin datato il 25 aprile 2024.

Attraverso queste iniziative, il PCC sta implicitamente ammettendo una realtà imbarazzante: il suo sforzo per eliminare il Falun Gong è categoricamente fallito. Al contrario, la campagna repressiva ha galvanizzato decine di milioni di cinesi comuni che sono diventati attivisti di base per i diritti umani e la libertà di informazione.

Portare avanti la “Lotta all’estero” 

L’intensa attività del PCC contro il Falun Gong non si limita ai confini della Repubblica Popolare Cinese. Fin dai primi giorni della persecuzione, si è estesa ai Paesi di tutto il mondo. I discorsi trapelati degli alti funzionari cinesi indicano insoddisfazione per la limitata capacità del regime di mettere a tacere il Falun Gong a livello globale. 

Nel dicembre 2015, l’allora capo della sicurezza pubblica Meng Jianzhu ha sottolineato l’urgente necessità di “trattare i Paesi e le regioni con serie attività del Falun Gong, come gli Stati Uniti, come il principale campo di battaglia”. Ha citato specificamente la “lotta all’estero” e la “lotta online” come “parti deboli” della campagna anti-Falun Gong del regime, invitando i funzionari ad “affrontare i problemi chiave” in queste aree. 

Da allora, numerosi discorsi e documenti a livello locale o provinciale hanno fatto eco a questi sentimenti, articolando al contempo strategie per l’attuazione delle direttive di Pechino. Da questi emergono due aree di attività chiave. 

In primo luogo, le agenzie di sicurezza cinesi prendono di mira singoli praticanti del Falun Gong che vivono all’estero, soprattutto quelli attivi nel denunciare la persecuzione o nel contrastare la propaganda del PCC. Documenti trapelati dalle province di Henan, Shaanxi, Hubei, Jiangxi e Hunan, datati dal 2015 al 2018, citano gli sforzi per condurre “indagini approfondite” sui praticanti d’oltremare di queste province e per raccogliere “intelligence” su di loro. Ciò include la raccolta di ampi dettagli personali e biografici, nonché di informazioni sui parenti rimasti in Cina, e l’ordine di creare database con questi dettagli. Queste informazioni possono essere utilizzate per attacchi fisici o pressioni psicologiche, proprio i tipi di molestie che sono stati evidenziati negli ultimi anni nel crescente lavoro dei gruppi per i diritti umani sulla “repressione transnazionale”.

In secondo luogo, in molti documenti si parla di sfruttare i crescenti legami politici e la leva economica nei confronti delle potenti istituzioni occidentali per sfruttare la loro influenza per limitare le attività del Falun Gong e diffondere la propaganda del PCC. Nel discorso del 2015, Meng afferma che: 

Dobbiamo cogliere l’opportunità della crescente domanda dei Paesi occidentali nei nostri confronti [cioè legami economici e politici più stretti con la Cina] e spingere i Paesi interessati a vietare o limitare le attività del “Falun Gong””.

I siti web provinciali e locali del Partito si basano su questa idea. Una serie di direttive del 2017 della provincia di Henan esortano a utilizzare le relazioni tra città gemelle per “ridurre efficacemente le attività del Falun Gong al di fuori della Cina”. Esse invitano inoltre a “coltivare le forze non governative”, come studiosi, giornalisti e leader delle comunità cinesi d’oltremare, affinché “parlino per noi [cioè per il PCC]” e “facciano in modo che i media stranieri pubblichino più notizie favorevoli a noi”. In effetti, dal 2015, la disinformazione e le falsità che dipingono negativamente il Falun Gong sono apparse con maggiore frequenza nei notiziari occidentali e nelle piattaforme globali dei social media rispetto al passato.

L’attuazione della campagna anti-Falun Gong all’estero del PCC è stata evidente anche dagli arresti effettuati negli Stati Uniti negli ultimi due anni: diversi agenti del regime cinese sono stati accusati di aver organizzato contro-proteste nei confronti degli appelli pacifici del Falun Gong, di aver monitorato i praticanti americani e persino di aver tentato di corrompere una persona, che ritenevano essere un funzionario dell’Agenzia delle Entrate statunitensi, per privare una “organizzazione del Falun Gong” del suo status di organizzazione no-profit.

Adattamento del regime e impatto sul mondo reale

I commenti interni del regime sul Falun Gong dimostrano un alto grado di strategia da parte dei funzionari di Pechino e dei livelli provinciali e locali. Essi articolano le debolezze percepite nell’efficacia e propongono aree per una rinnovata attenzione. Questo linguaggio implica una campagna di soppressione ad alta priorità e in continua evoluzione, rafforzando il fatto che la crociata anti-Falun Gong del PCC rimane proprio tale. 

Inoltre, gli effetti di queste direttive si riflettono quotidianamente nell’attività del mondo reale e nell’azione repressiva del PCC contro i cinesi che perseverano nel praticare il Falun Gong o nel parlare contro gli abusi subiti dai suoi praticanti. Ogni giorno emergono nuove notizie di pensionati portati via dalla polizia, di giovani che subiscono lesioni debilitanti a causa delle torture e di famiglie separate da anni, tutto a causa dell’infinita campagna del PCC per impedire ai cinesi di praticare, o anche solo di parlare, del Falun Gong. 

Come 25 anni fa, chi vuole comprendere veramente la Cina di oggi, deve anche capire la realtà vissuta del Falun Gong e dei suoi milioni di praticanti in Cina e nel mondo. 

Non c’è bisogno di credere alle nostre parole. Basta guardare cosa si dicono i funzionari del PCC lontano dai riflettori internazionali.

Articolo originale in inglese: 25 Years On, Falun Gong Still Firmly in Beijing’s Repressive Sights

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